|
Pubblicato su politicadomani Num 83/84 - Settembre/Ottobre 2008
Finanza e mercati
Indagine CSEI 2008
Il mercato immobiliare e le famiglie
Fra la fine di un mito, il declino dell’economia e la povertà strisciante
di Alberto Foresi
È sempre stato così: la prima aspirazione di ogni italiano è il possesso di una casa. Difficile dire perché, visto che in altre nazioni altrettanto sviluppate tale esigenza non appare così sentita. Ma questa analisi, oltre alla sfera economica, riguarda quella sociale e psicologica. Fatto sta che, dopo un decennio di continua crescita, dal 1997 al 2007, a partire dall’anno in corso si registra un repentino e significativo calo delle transazioni immobiliari, e le previsioni per il prossimo anno sembrano confermare la tendenza negativa.
È quanto emerge dall’indagine 2008 del Centro Studi sull'Economia Immobiliare. In particolare, secondo Valter Giammaria, presidente di Tecnoborsa, società cui fa capo il Centro, mentre nel biennio 2006-2007 il 12,1% delle famiglie ha effettuato transazioni immobiliari, nel biennio 2008-2009 solo il 9,1% delle famiglie prevede di effettuare almeno una transazione immobiliare, con una riduzione del mercato immobiliare stimata pertanto intorno al 3%. Non è cambiata la percentuale (61 %) di coloro che hanno comprato una casa per abitarvi, e degni di nota sono sia il sensibile calo dell’acquisto di case per le vacanze (-6,7%) sia l’aumento di coloro che hanno acquistato una casa per parenti prossimi (+6,8%). Sono dati che danno una visione non positiva dell’attuale condizione economica delle famiglie italiane. Il calo dell’acquisto delle seconde case destinate alle vacanze è dovuto solo in parte al cambiamento delle usanze, sembra piuttosto la conseguenza del taglio delle spese non strettamente necessarie. I “parenti prossimi” per i quali viene comprata una casa sono verosimilmente i figli, i quali, privi dei mezzi propri necessari per acquistare una casa, o, nel migliore dei casi, precari, sono costretti a fare aprire un mutuo ai propri genitori, che diventano garanti del debito con il proprio stipendio o pensione. A conferma di questo impoverimento c’è il fatto che solo il 5,9 degli acquisti è stato motivato dalla volontà di realizzare un investimento. Non stupisce così vedere che il primo fattore preso in esame all’atto dell’acquisto di una casa è proprio il prezzo (67,3%), una percentuale che è quasi raddoppiata rispetto rispetto al biennio precedente (34%). Molto distanziati sono altri elementi altrettanto importanti quali la qualità complessiva dell’immobile, la conformità delle dimensioni alle esigenze familiari, la vicinanza al luogo di lavoro o ai mezzi di trasporto pubblici, la presenza di aree verdi.
Interessante è anche osservare le modalità di pagamento scelte. Ben il 58,3% di chi ha comprato casa ha fatto ricorso ad un finanziamento o ad un mutuo, percentuale che schizza al 72,5% fra coloro che hanno comprato la prima casa, scende leggermente fra chi ha comprato casa per parenti prossimi (56,3%), mentre si riduce sensibilmente in caso di acquisto di una seconda casa. In sostanza la maggioranza delle famiglie è costretta, in mancanza di capitali, ad enormi sacrifici per la propria abitazione, mentre solo pochi benestanti che dispongono di liquidità immediata possono permettersi il lusso di acquistare una casa per le vacanze o a scopo di investimento.
Spostando l’attenzione da chi ha comprato casa, o almeno ha cercato o ha espresso l’intenzione di farlo, verso chi la propria abitazione l’ha venduta, il panorama appare altrettanto sconfortante. Scopriamo infatti che, a parte chi ha venduto la propria abitazione principale per comprarne un’altra, molti sono stati costretti a vendere la seconda casa per bisogno di liquidità, spesso per acquistare un’abitazione destinata a parenti stretti. È il segno inequivocabile del declino del Paese: le famiglie si impoveriscono e sono costrette a vendere quello che sembra un bene superfluo per comprare la casa ai figli, che non sono in grado di farlo con i propri mezzi. Siamo ad un passo dal vedere le famiglie costrette a vendere la propria abitazione e andare in affitto per riuscire ad andare avanti? Meno del 5% delle famiglie intervistate, ha scelto l’affitto come soluzione. Il dato, leggermente in ascesa, è comunque sempre molto basso, probabilmente perché, nonostante gli interessi continuino a crescere, un mutuo, che non è troppo superiore ad una onerosa locazione mensile, è percepito come un investimento. In sostanza, sembra che il mercato degli alloggi in affitto riguardi prevalentemente quella parte fisiologica delle famiglie che, per motivi di lavoro o di altra natura, non prevede di fermarsi stabilmente in un determinato luogo.
Questa indagine ci restituisce dell’Italia l’immagine di un paese in crisi, in cui il divario fra pochi ricchi e molti nuovi poveri e quasi poveri si fa sempre più marcato. È l’immagine di una nazione che vede progressivamente sparire il ceto medio, quella classe sociale che, a partire dagli anni ’60, aveva creato per sé e per il Paese un diffuso benessere. E quello che più preoccupa è che questo già declinante benessere sembra avviato alla fine.
Molte le cause di ciò, esterne ed interne al sistema Italia. Non ultima il fatto che le retribuzioni del ceto medio, costituito in buona parte da lavoratori dipendenti, sono rimaste sostanzialmente invariate mentre i prezzi, durante il passaggio dalla lira all’euro, sono stati lasciati “al mercato” facendo sì che una parte minoritaria della popolazione, che ha potuto speculare sui prezzi, si è fortemente arricchita, mentre la maggior parte degli italiani ha visto radicalmente ridursi il proprio potere d’acquisto. Così, mentre una volta con 300 milioni si comprava una villetta, adesso 300.000 euro, il doppio di allora, bastano appena per un appartamento di medie dimensioni. E ancora, al mercatino sotto casa un chilo di pomodori, che costava mille lire, adesso costa due euro, quattro volte tanto. Colpa, fra l’altro, della accondiscendente latitanza dell’allora governo in carica, ignorata allora e che, incredibilmente, nessuno ora sembra più ricordare.
|
|
|